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Consumiamo troppa acqua (specie quella “nascosta”)

Consumiamo troppa acqua (specie quella “nascosta”)

L’acqua è una risorsa fondamentale per la vita sulla Terra, ma, nonostante la sua apparente abbondanza, quella utilizzabile (ed in particolar modo quella potabile) è limitata e preziosa. Molti di noi ignorano quali siano i reali consumi legati ai nostri stili di vita e i modi più efficaci per fare economia di oro blu.

 

Quando consumiamo (per davvero) l’acqua

Quando pensiamo al consumo di acqua, spesso ci limitiamo a considerare l’uso diretto: bere, cucinare, fare la doccia o innaffiare il giardino. Tuttavia, la maggior parte dell’acqua che consumiamo quotidianamente non sgorga dai nostri rubinetti, ma è nascosta nei prodotti che acquistiamo, nei cibi che mangiamo e nei servizi che utilizziamo.

Questo consumo indiretto di acqua è conosciuto come “impronta idrica”.

 

Cos’è l’impronta idrica

Il concetto di impronta idrica è stato coniato recentemente e, nello specifico, è stato introdotto all’inizio degli anni 2000 dal professore olandese Arjen Hoekstra (fondatore del Water Footprint Network). L’impronta idrica misura la quantità totale di acqua dolce utilizzata per produrre beni e servizi consumati da un individuo, una comunità e da una nazione.

Essa si divide in tre categorie:

  1. Acqua Blu: acqua prelevata da fonti superficiali o sotterranee (fiumi, laghi, acquiferi) che viene consumata, quindi utilizzata e non restituita in natura (ad esempio incorporata in un prodotto) o viene comunque inquinata;
  2. Acqua Verde: in questa tipologia rientra in particolare l’acqua evo-traspirata ovverosia l’acqua piovana immagazzinata nel suolo ed utilizzata dalle piante;
  3. Acqua Grigia: acqua necessaria per diluire gli inquinanti sino al livello che soddisfi gli standard di qualità dell’acqua.

Come specificato sul sito del Ministero dell’Ambiente, “l’utilizzo delle tre componenti di acqua virtuale incide in modo diverso sul ciclo idrogeologico. Ad esempio, il consumo di acqua verde esercita un impatto meno invasivo sugli equilibri ambientali rispetto al consumo di acqua blu.” Si specifica inoltre che “la water footprint offre quindi una migliore e più ampia prospettiva su come il consumatore o produttore influisce sull’utilizzo di acqua dolce.

 

Viviamo in una situazione di crisi

La possibilità di aprire il rubinetto e (normalmente) veder scorrere l’acqua probabilmente non ci fa pienamente comprendere quanto oggi sia grave la situazione legata all’oro blu non solo a livello globale ma anche nel nostro Paese.

L’Italia è infatti il Paese con il maggior stress idrico in Europa: considerando che la soglia di allarme del consumo della risorsa disponibile è indicata al 20%, noi arriviamo al 30%. Secondo i dati recentemente diffusi da Italy for Climate (rete di imprese, ong e istituti di ricerca per il clima), questo valore già oggi, in alcune aree d’Italia, durante l’estate può arrivare a raggiungere anche l’80%.

 

Perché è importante ridurre l’impronta idrica

La riduzione dell’impronta idrica non è importante “solo” per la conservazione dell’acqua, ma rappresenta una necessità vitale per garantire la sostenibilità ambientale, sociale ed economica.

Ecco alcune ragioni.

 

1. Scarsità d’acqua

Più di 2 miliardi di persone vivono in paesi afflitti da problemi di accesso all’acqua potabile. La gestione inefficiente e l’uso eccessivo dell’acqua, in particolare attraverso il consumo indiretto, acuiscono la scarsità di questa risorsa essenziale. Se acquistiamo massivamente beni prodotti in questi luoghi, contribuiamo ad aggravare il fenomeno e per questo è fondamentale – ogni volta che è possibile – avere l’esatta conoscenza della filiera dei beni che compriamo.

 

2. Impatto ambientale

L’eccessivo prelievo di acqua da fiumi e acquiferi può comportare gravi danni ecologici come la riduzione dei livelli di acqua, l’estinzione (o la riduzione) di specie acquatiche e la degradazione degli ecosistemi. Inoltre, l’inquinamento causato dall’uso di acqua grigia può avere effetti seri sulla biodiversità e sulla salute umana.

 

3. Impatto socioeconomico (ed energetico)

La scarsità d’acqua può portare a conflitti per l’accesso alle risorse, dislocamenti di intere comunità e gravi perdite economiche soprattutto in aree dipendenti dall’agricoltura e da altre industrie con uso intensivo di acqua. A tal proposito è fondamentale ricordare come in Paesi come l’Italia una gran parte dell’elettricità derivi proprio dalle centrali idroelettriche.

 

Cosa possiamo fare per ridurre la nostra impronta idrica

Ridurre la nostra impronta idrica vuol dire non solo avere una gestione oculata e consapevole dell’oro blu che sgorga dai nostri rubinetti. Possiamo, infatti, fare molto altro: partendo dalla consapevolezza che produrre praticamente qualsiasi bene – dal cibo agli abiti – richiede                     l’impiego di acqua, è fondamentale comprendere che evitare gli sprechi ed allungare la vita ai prodotti ci consentirà di essere più virtuosi nei consumi indiretti delle risorse idriche.

Per una T-shirt di cotone servono 2.700 litri d’acqua e una quantità maggiore è necessaria per produrre un paio di jeans. Acquistare meno, utilizzare il più possibile, rivendere, scambiare o regalare diventeranno quindi non solo buone pratiche di economia circolare ma assicureranno anche un risparmio idrico “nascosto” ma non per questo invisibile!

 

Articolo a cura di Letizia Palmisano.

Staff IGW

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