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Aprile 26, 2022L’Italia è un Paese bellissimo, eterogeneo ma strutturalmente fragile: frane, alluvioni, erosioni costiere sono fenomeni molto frequenti sul nostro territorio, eventi che lasciano dietro di sé solo devastazione le cui immagini, che affollano la cronaca televisiva e dei quotidiani, sono ben impresse nella memoria recente di tutti.
Nessuna regione di fatto può dirsi al sicuro da queste calamità naturali che interessano tutto il Bel Paese, dal Nord al Sud italia, senza eccezioni. Per comprendere la gravità della situazione è sufficiente sottolineare come, ad esempio, “solo” nel periodo compreso tra 1970 e il 2019 gli eventi di frana e di inondazione hanno causato 1.673 morti, 60 dispersi, 1.923 feriti e 320.028 evacuati e senzatetto (dati CNR-IRPI, 2020).
Si tratta di fenomeni che rientrano nel concetto di dissesto idrogeologico con il quale si intende tutti quei processi morfologici che generano una degradazione del suolo.
Purtroppo Il territorio italiano per le sue caratteristiche morfologiche, litologiche e idrografiche è da sempre naturalmente predisposto a questi eventi ad esempio siamo tra i paesi europei maggiormente interessati da fenomeni franosi con 625.000 frane censite nell’Inventario dei Fenomeni Franosi in Italia e che interessano un’area di quasi 24.000 km2 pari al 7.9% del territorio nazionale.
Ma i fenomeni negli ultimi anni hanno iniziato ad intensificarsi. Non incide infatti solo la conformazione del territorio, a contribuire ad accentuare la frequenza del verificarsi di queste calamità quella che a ragione viene definita il più grande problema ambientale del nostro tempo: l’emergenza climatica. A causa infatti del riscaldamento globale in alcune aree del Pianeta, come lo spazio euromediterraneo, si sono intensificati i fenomeni meteorologici estremi che spesso portano con sé piene improvvise o colate rapide di fango e detriti che compromettono ancora di più la tenuta strutturale del territorio.
Le azioni umane che aumentano il rischio
A contribuire ad aggravare il rischio del verificarsi di fenomeni di dissesto idrogeologico che possano comportare un pericolo per le persone e notevoli danni economici, vi è anche la mano dell’uomo.
L'Italia è infatti un Paese fortemente antropizzato in particolare la grande espansione urbanistica avvenuta nel secondo dopoguerra, spesso in assenza di un’adeguata pianificazione territoriale e con elevati tassi di abusivismo edilizio, ha portato un’ampia fetta della popolazione ad essere esposta - spesso in maniera inconsapevole - al rischio legato al verificarsi di queste calamità.
Secondo i dati diffusi da Legambiente nel dossier “Ecosistema a Rischio 2017” il 9% dei comuni oggetto dell’indagine, ha edificato in aree a rischio e di questi 110 hanno costruito case, quartieri o strutture sensibili e industriali in aree vincolate. Preoccupanti anche i dati sulla cementificazione dei letti dei fiumi: il 9,4% delle amministrazioni ha dichiarato di aver “tombato” tratti di corsi d’acqua sul proprio territorio, con una conseguente urbanizzazione delle aree sovrastanti.
Qual è oggi il pericolo che corre il Paese?
A fotografare la situazione attuale del rischio idrogeologico del Paese è l’Istat con il report “Dissesto idrogeologico in Italia: pericolosità e indicatori di rischio - Edizione 2021” sulla base di dati del 2020.
Secondo il rapporto sono ben 7.423 i comuni (93,9% del totale) a rischio per frane, alluvioni o erosione costiera; su 1,3 milioni di abitanti incombe il rischio frane e su 6,8 milioni il rischio alluvioni. Lo studio evidenzia inoltre come le famiglie in pericolo siano 548.000 per frane e oltre 2,9 milioni per alluvioni, sono inoltre il 3,9% gli edifici situati in località a rischio frana elevata o molto elevata mentre sono il 10,7% quelli ubicati in aree inondabili.
Non solo persone, abitazioni e infrastrutture, ad essere in pericolo a causa di questi eventi anche il patrimonio di beni architettonici, monumentali e archeologici del Paese. Sempre secondo il report Ispra, degli oltre 213.000 beni culturali censiti, quelli potenzialmente soggetti a fenomeni franosi sono oltre 12.500, situati in aree a pericolosità elevata e molto elevata, e raggiungono complessivamente le 38.000 unità se si considerano anche quelli ubicati in aree a minore pericolosità. I beni culturali a rischio alluvioni invece sono quasi 34.000 nello scenario a pericolosità media e raggiungono quasi i 50.000 in quello a scarsa probabilità di accadimento o relativo a eventi estremi.
Cosa fare per evitare l’aggravarsi di questa situazione?
Le misure da adottare sono molteplici e variano anche in relazione alle diverse situazioni. Ma molto si può fare. Come rileva l’Ispra, in una strategia di mitigazione del rischio è fondamentale l’attività conoscitiva, le mappature, ma anche piani di comunicazione rivolti ai cittadini e sistemi di allertamento.
Bisogna inoltre lavorare in un’ottica di pianificazione territoriale con i piani di Assetto idrogeologico e attività di manutenzione del territorio anche attraverso buone pratiche agro-silvo-pastorali.
In aree non urbanizzate quindi si dovrà - solo per fare alcuni esempi - provvedere a lavori di stabilizzazione e consolidamento dei pendii instabili,alla ristrutturazione degli spazi dei corsi d'acqua e alla loro pulizia periodica nonché alla delocalizzazione di attività sottoposte a rischio. Nelle città invece potrà essere fondamentale l’adozione di sistemi di monitoraggio delle acque meteoriche (vi è chi peraltro si attrezza anche per la raccolta, per far fronte ai sempre più prolungati periodi di siccità) e l’adeguamento dei sistemi che possano far fronte ai sempre più frequenti eventi meteorologici estremi (impropriamente detti “bombe d’acqua”).
Un rimedio che viene dalla natura
Tra le soluzioni più efficaci per mettere in sicurezza il Paese vi è sicuramente quella di puntare sulla naturalizzazione del territorio secondo sistemi di gestione sostenibile delle foreste. Piantare alberi e tutelare quelli esistenti è fondamentale per stabilizzare il suolo al fine di prevenire frane o cedimenti. Le loro radici e la distribuzione delle stesse nel terreno, come a formare una rete, è infatti importante per la trattenuta della terra e conseguenzialmente per la sua stabilità. Ma l’importanza degli alberi e delle aree verdi non si limita a questo.
Soprattutto nelle aree urbane dove colate di cemento e asfalto hanno tolto il respiro al suolo, la presenza e l’incremento di aree verdi è centrale per ridurre il rischio di allagamenti. Il terreno “libero” è infatti in grado di assorbire in parte le piogge, rilasciando poi gradualmente l’acqua sia nelle falde idriche sotterranee che nei corpi idrici superficiali. Rilevante anche la funzione degli alberi che grazie alle loro chiome sono in grado di intercettare le precipitazioni rallentando la velocità di caduta della pioggia consentendo così un graduale assorbimento delle acque piovane da parte del terreno.
Ogni azione va inoltre condotta tenendo bene a mente anche gli obiettivi volti a ridurre i cambiamenti climatici e a contenere l’innalzamento delle temperature all’interno dell’ambizioso obiettivo dell’accordo di Parigi: +1,5 gradi.
Il riassetto idrogeologico non fa notizia come una “bomba d’acqua” ma è ciò che può fare davvero la differenza per cercare di trovare un equilibrio tra il territorio e i suoi abitanti: noi umani.
Articolo a cura di Letizia Palmisano.