Per le mani, struccanti, per l’igiene intima: ne esistono un’infinità di varianti. Parliamo delle salviette monouso che, negli ultimi anni, hanno riscosso un discreto successo. Il problema, però, è che le persone evidentemente non sanno bene come smaltirle e quindi il conto – salato – viene pagato da chi si deve occupare della loro bonifica. Per questo c’è chi prova a correre ai ripari.
Il Ministero per la Transizione Ecologica spagnolo ha infatti recentemente messo nero su bianco una misura che potrebbe fare scuola in tutta Europa. Il disegno di legge vuole obbligare i produttori di salviette umidificate (e anche di palloncini) a coprire i costi di pulizia e bonifica delle infrastrutture igienico-sanitarie, come fognature e impianti di depurazione. [1][3] La cifra stimata è impressionante: circa 230 milioni di euro ogni anno. Tanto costa allo Stato spagnolo rimuovere le matasse di tessuto non tessuto che intasano i sistemi di gestione delle acque reflue.
Questi “tappi”, formati da salviette che non si disintegrano, creano blocchi che aumentano il rischio di tracimazioni, specialmente durante le piogge intense, con conseguente sversamento di liquami non trattati nell’ambiente.
La decisione della Spagna va persino oltre quanto statuito dalla Direttiva europea sulla plastica monouso (SUP, Dir. 2019/904), includendo non solo le salviette in fibre sintetiche, ma anche quelle realizzate con fibre naturali e commercializzate come “biodegradabili“. Un dettaglio, non da poco, che affronta di petto una delle principali fonti di confusione per i consumatori.
Quante volte, leggendo “biodegradabile” sulla confezione, abbiamo pensato di poter gettare senza problemi la salvietta nel water? È un errore comune, ma con conseguenze devastanti. La biodegradabilità di un prodotto non implica, infatti, la sua rapida disintegrabilità in acqua. A differenza della carta igienica (venduta peraltro anche umidificata in confezioni simili a quelle delle salviette ma con l’apposita indicazione della possibilità di gettarla nel wc), progettata per sfaldarsi quasi istantaneamente, molte salviette, anche quelle naturali, mantengono la loro resistenza, finendo per accumularsi nelle tubature.
Una volta nel sistema fognario, si legano a grassi e altri rifiuti non correttamente smaltiti, creando i cosiddetti “fatberg“, ammassi solidi che possono raggiungere dimensioni enormi, ostruire il flusso delle acque e produrre gas tossici.
Il problema non si ferma alle fognature: le salviette che riescono a superare gli impianti di depurazione arrivano in fiumi e mari (come raccontano i dati delle inchieste di Legambiente sul marine litter), dove possono rilasciare le sostanze chimiche delle quali sono imbevute e si frammentano anche in microplastiche, entrando nella catena alimentare e danneggiando la fauna marina.
La legge spagnola è un esempio lampante di attuazione della tanto decantata Responsabilità Estesa del Produttore (EPR), un principio cardine delle politiche ambientali moderne, recepito anche in Italia con il D.Lgs. 196/2021.
L’EPR impone a chi produce e immette sul mercato un determinato bene di farsi carico dei costi legati al suo fine vita, inclusa la raccolta, il trattamento e la sensibilizzazione dei cittadini.
Questo approccio non ha solo una funzione “punitiva”, ma serve da potente incentivo: obbligare i produttori a pagare i danni li spinge a riprogettare i loro articoli in un’ottica di sostenibilità. In questo modo si stimola la ricerca di materiali veramente compostabili e idrosolubili, si promuove un packaging più chiaro e si incoraggia una comunicazione trasparente che educhi il consumatore ad un corretto smaltimento.
Dal disegno di legge per ora sono escluse, invece, le salviette umidificate destinate all’uso industriale e professionale, oltre anche a quelle mediche o igieniche.
La confusione regna sovrana e non solo per le salviette. Come coautrice del recente dossier “Contenitori senza trucco. Il corretto conferimento degli imballaggi dei cosmetici e dei prodotti per l’igiene personale“, realizzato da Junker app in collaborazione con EconomiaCircolare.com, ho potuto toccare con mano quanto sia diffusa l’incertezza. Dal sondaggio che ha coinvolto 16.000 persone, è emerso un quadro di grande smarrimento. Ad esempio, due italiani su tre gettano nell’indifferenziato le confezioni di mascara e ombretti che, invece, andrebbero conferiti nella plastica. Questa mancanza di conoscenza è il terreno fertile per errori di smaltimento che hanno un grave impatto ambientale ed economico. Le salviette umidificate rappresentano uno degli errori più gravi e diffusi. La regola d’oro, in assenza di indicazioni esplicite e certificate di compostabilità (con tanto di simbolo UNI EN 13432 ma anche qui purché poi non venga imbevuta o contaminata con qualcosa di non compostabile), è una sola: la salvietta usata va conferita sempre e solo nel secco residuo/indifferenziato, mai nel WC, mai nell’umido e mai nella raccolta della carta.
L’iniziativa spagnola, dunque, non è solo una questione economica, ma culturale. Fa luce su un problema invisibile che scorre sotto le nostre città e ci ricorda che ogni nostro gesto ha una conseguenza. Responsabilizzare i produttori è il primo, fondamentale passo per innescare un cambiamento virtuoso. Tuttavia serve anche un impegno collettivo, fatto di informazione corretta e di scelte consapevoli, per trasformare un rifiuto problematico in un’opportunità di innovazione e rispetto per il nostro Pianeta.
Articolo a cura di Letizia Palmisano.
In Francia nasce il bonus rammendo, un incentivo per riparare abiti e scarpe invece di…
A partire dal 20 giugno 2025 entreranno in vigore nuove normative comunitarie che introdurranno un'etichetta…
Come pubblicizzare la propria azienda in maniera autenticamente green? Questa è la domanda che si…
Con ondate di calore prolungate e anomalie meteorologiche che pongono sfide senza precedenti, il cambiamento…