
Come deve e può cambiare il volto delle città per un futuro più fresco e resiliente al cambiamento climatico
Settembre 26, 2025Il cambiamento climatico e il consumo di risorse ha cambiato il nostro futuro e ha già modificato il presente. Rispetto a dieci o venti anni fa è un argomento assai più discusso ed è radicalmente cambiato l’approccio di parte della politica (soprattutto quella europea), di alcune aziende e di milioni di cittadini. Possiamo, però, sentirci davvero sempre più coinvolti, informati e preoccupati per le sorti del nostro Pianeta? Intervistate, le persone dichiarano spesso di adottare comportamenti sostenibili, di scegliere prodotti con etichette "green" e di essere pronte a fare la loro parte per contrastare il cambiamento climatico. Eppure, tra le nostre buone intenzioni e le azioni concrete, si spalanca un abisso. Questo fenomeno, noto come "green gap", descrive proprio il divario significativo tra la volontà dichiarata di ridurre il proprio impatto ambientale e l'inadeguatezza dei comportamenti reali.
Un recente studio condotto in Francia - i cui risultati sono, però, ampiamente applicabili anche al contesto italiano - getta una luce spietata su questo paradosso. La ricerca - che ha coinvolto Stéphane Borraz, docente-ricercatore presso la prestigiosa NEOMA Business School - rivela dati che fanno riflettere: sebbene il 78% dei francesi affermi di agire in modo sostenibile, la loro impronta di carbonio media resta di circa nove tonnellate di CO2 equivalente pro capite all'anno. Un valore quasi cinque volte superiore al limite di circa due tonnellate che sarebbe necessario rispettare per allinearci agli obiettivi dell'Accordo di Parigi. Cosa si nasconde dietro questa discrepanza? Come giustifichiamo a noi stessi questo scarto, soprattutto se ci consideriamo persone già sensibilizzate e impegnate sul fronte ambientale?
Il paradosso dell'eco-consapevole: numeri che mettono in crisi
L'aspetto più sorprendente dello studio non è tanto la conferma dell'esistenza del "green gap", quanto il focus della sua analisi. La ricerca non si è concentrata sugli scettici o sui negazionisti del cambiamento climatico, ma su un gruppo di persone già attivamente impegnate, per motivi professionali o associativi, nella lotta per il clima. A questi individui è stato chiesto prima di calcolare la propria impronta di carbonio personale e poi di confrontarsi con il risultato, spesso sorprendentemente alto.
Cos’è l’impronta di carbonio
L'impronta di carbonio, o carbon footprint, è la quantità totale di gas a effetto serra che una persona emette, direttamente o indirettamente, con le proprie attività quotidiane. Questo valore viene espresso in tonnellate di CO2 equivalente e tiene conto di tutto: dai trasporti all'alimentazione, dai consumi energetici domestici agli acquisti di beni e servizi. L'obiettivo dell'Accordo di Parigi, siglato nel 2015, è contenere l'aumento della temperatura media globale ben al di sotto dei 2°C rispetto ai livelli preindustriali, puntando a limitarlo a 1,5°C. Per raggiungere questo traguardo, l'impronta di carbonio individuale media dovrebbe scendere drasticamente, attestandosi intorno alle 2 tonnellate annue.
Il dato francese pro capite, quindi, mostra una distanza enorme dall'obiettivo. La circostanza che anche gli individui più "consapevoli" fatichino a colmare questo divario suggerisce che le radici del problema siano più profonde e complesse di una semplice mancanza di informazione. La ricerca si è quindi posta una domanda cruciale: come spiegano, queste persone, lo scarto tra le loro nobili intenzioni e il loro impatto reale?
Le tre grandi giustificazioni: come spieghiamo a noi stessi il "Green Gap"
Dalle interviste condotte dai ricercatori sono emerse tre principali linee di giustificazione, tre narrazioni che le persone costruiscono per dare un senso a questa dissonanza cognitiva senza, però, deresponsabilizzarsi completamente. Questi meccanismi psicologici e sociali sono fondamentali per capire perché la transizione ecologica stenta a decollare a livello individuale.
- "Lo strumento non funziona": la critica all'impronta di carbonio
Una prima, diffusa, reazione è stata quella di mettere in discussione l'efficacia stessa dello strumento di misurazione. L'impronta di carbonio viene percepita come un concetto astratto, poco tangibile e, in definitiva, non abbastanza incentivante. Molti partecipanti si sono chiesti "a cosa corrisponde davvero una tonnellata di carbonio nella mia vita di tutti i giorni?". Questa difficoltà nel tradurre un dato numerico in conseguenze concrete e quotidiane rende il parametro debole come guida per le scelte del consumatore. Se non riesco a visualizzare l'impatto di un volo aereo o di quello che ho nel piatto in termini comprensibili, sarò meno motivato a modificare il mio comportamento. Lo strumento, concepito per creare consapevolezza, rischia di generare solo confusione o indifferenza. - "Il problema è il sistema, non io": il rifiuto dell'approccio individualista
Un secondo gruppo di giustificazioni si sposta su un piano più ideologico, rifiutando radicalmente il concetto stesso di impronta di carbonio individuale. Secondo questa visione, focalizzarsi sulle "piccole azioni" del singolo sarebbe una trappola, un'eredità di un'ideologia produttivista più adatta a misurare le performance delle imprese che a guidare una vera trasformazione ecologica. La lotta al riscaldamento globale, sostengono, non si vince con la somma di tanti piccoli gesti, ma richiede un cambiamento sistemico ad alto impatto che coinvolga governi e grandi corporation. Emerge anche l'idea che la CO2 non sia l'unico indicatore di sostenibilità: la tutela della biodiversità, il consumo di acqua e l'uso del suolo sono altrettanto cruciali, ma vengono trascurati da un approccio "carbon-centrico". - "Perché solo io?": il senso di ingiustizia e la frustrazione
Infine, molti partecipanti hanno espresso un profondo senso di ingiustizia. Percepiscono i loro sforzi e i loro sacrifici personali come sproporzionati rispetto all'immobilismo che vedono negli altri cittadini, nelle aziende e, soprattutto, nelle istituzioni. Questa percezione di iniquità genera frustrazione e funge da freno, portandoli a moderare il proprio impegno. "Perché dovrei rinunciare all'auto quando le industrie continuano a inquinare impunemente o il governo non investe a sufficienza nel trasporto pubblico?", sembra essere il pensiero sottostante che possiamo immaginare leggendo tra le righe. Questa sensazione che i sacrifici non siano distribuiti equamente è uno dei più potenti ostacoli psicologici all'azione individuale.
Superare il divario: come trasformare le percezioni in azioni concrete
Comprendere le cause del "green gap" è il primo passo per poterlo colmare. Lo studio della NEOMA Business School uscito nel luglio 2025 traccia infatti anche alcune possibili vie d'uscita, strategie per trasformare le buone intenzioni in un impatto reale e misurabile.
Il primo ambito di intervento riguarda proprio gli strumenti di misurazione. I ricercatori suggeriscono lo sviluppo di calcolatori dell'impronta di carbonio che siano più pratici, coinvolgenti e, soprattutto, educativi. Non dovrebbero limitarsi a fornire un punteggio finale, ma diventare leve per la trasformazione, chiarendo l'impatto concreto delle scelte nel momento stesso in cui vengono prese. Immaginiamo un'applicazione che, mentre facciamo la spesa, ci mostri in tempo reale come cambia la nostra impronta di carbonio a seconda del prodotto che mettiamo nel carrello. Questo renderebbe l'impatto tangibile e immediato.
In secondo luogo, le politiche pubbliche devono farsi carico di questa complessità. Per contrastare il senso di ingiustizia, sono necessari meccanismi incentivanti chiari, come sistemi di ricompensa per i comportamenti virtuosi o una carbon tax percepita come più equa e trasparente. Se i cittadini vedono che l'impegno è collettivo e che anche i grandi attori economici e politici fanno la loro parte, aumenterà la loro motivazione a contribuire al cambiamento.
In definitiva, ridurre il "green gap" richiede un approccio combinato che integri misure educative, culturali e politiche. Non si tratta di colpevolizzare l'individuo, ma di agire sulle percezioni e sui contesti che ne influenzano i comportamenti.
La transizione verso un futuro sostenibile è una sfida complessa che non può essere delegata interamente né al singolo cittadino né alle sole istituzioni. È un percorso collettivo che parte dalla consapevolezza individuale, ma che deve essere sostenuto da strumenti innovativi, politiche coraggiose e un rinnovato senso di giustizia e responsabilità condivisa.
Articolo a cura di Letizia Palmisano.




