Elettrodomestici: quali sono i più energivori e come confrontare i consumi
Novembre 4, 2022Investire nelle rinnovabili è più complicato di quello che ci si aspetta
Dicembre 1, 2022Quando si parla di settori con un elevato impatto ambientale probabilmente pochi elencano tra questi il tessile e la moda. Pensate però che secondo i dati Onu, a tale industria è attribuibile una quota significativa delle emissioni climalteranti, ovvero il 10%. Conoscere di più di cosa sono fatti i capi nel nostro armadio può quindi aiutarci ad essere maggiormente attenti alle scelte che facciamo in tema di vestiario. Anche per questo la quattordicesima edizione della Settimana Europea per la Riduzione dei Rifiuti, che nel 2022 si tiene dal 19 al 27 novembre, ha per titolo “i rifiuti sono fuori moda”, per poter inspirare una maggiore consapevolezza ma anche l’adozione di azioni che favoriscano la circolarità nel settore tessile.
Oggi tra i problemi più grandi legati a questo ambito vi è la diffusione del cosiddetto fenomeno del fast fashion o moda veloce, abiti con tessuti di scarsa qualità e spesso di composizioni miste che rende difficile il loro riuso e riciclo.
Per capire di più questo mondo così vicino a tutti noi ma a volte non così semplice da decifrare, oggi vi parliamo della differenza tra fibre rinnovabili, non rinnovabili e riciclate per aiutarvi a capire come ridurre l’impronta ambientale del vostro guardaroba.
Cosa sono le Fibre rinnovabili
Per fibre rinnovabili si intendono quelle le cui materie prime arrivano dalla natura. Esse possono distinguersi in fibre naturali e tecnofibre artificiali. Le prime vanno suddivise in vegetali - che si producono da piante e cellulosa - e animali.
Quel che forse non si immagina, se non si è approfondito l’argomento o non si è del settore, è che anche le fibre artificiali sono realizzate utilizzando materie prime presenti in natura. Possono infatti avere origine dalla cellulosa del legno, dai linter di cotone, o dalle proteine animali. A differenza delle naturali, le fibre artificiali vengono sottoposte a processi chimici per trasformare la materia rigida vegetale in morbido tessuto, aspetto che le accomuna - dal punto di vista della modalità di produzione - alle sintetiche che rientrano però nelle non rinnovabili.
Quali sono le fibre naturali vegetali: quante di queste conosci?
Regina delle fibre naturali vegetali è probabilmente il cotone che oggi rappresenta un terzo dei capi del settore con un volume di circa 25 milioni di tonnellate annue come riportato nel report Textile Exchange Preferred Fiber and Materials Market. Si stima che la sua coltivazione occupi circa il 2,5% delle terre arabili del mondo e richiede ingenti quantitativi di acqua per la crescita della pianta. Tra i problemi connessi alla sua produzione, in caso principalmente di coltivazioni estensive, vi sono quelli legati all’ impiego di grandi quantità di fertilizzanti, concimi chimici e pesticidi che contaminano e impoveriscono il suolo. Per dare un po’ di numeri: per la sua coltivazione, vengono impiegati tra il 22,5- 24% degli insetticidi e il 10-11% di tutti i pesticidi utilizzati sulla Terra. Il cotone organico è considerato l'alternativa più sostenibile alla coltivazione tradizionale ma oggi copre solo l'1,4% rispetto a tutto il cotone prodotto.
Un’altra fibra che potrebbe essere presente nelle vostre case è il lino, considerata la più antica della storia umana. La coltivazione della pianta, il Linum usitatissimum, necessita di una quantità minima di acqua e generalmente, essendo poco attaccata da parassiti e predatori, richiede un uso limitato di pesticidi. Ad oggi però i tessuti ricavati da tale coltura occupano una quota minima del mercato perché la sua lavorazione rende il filato più costoso rispetto ad alternative più economiche.
Tra le tante altre fibre vegetali naturali, ricordo la canapa, la juta, il kenaf e il cocco ma l’elenco potrebbe essere lungo. Oggi infatti si studia la possibilità di realizzare filati con diverse piante, alla ricerca di resistenza, traspirabilità e sostenibilità (oltre che di buon rapporto qualità prezzo).
Quando la fibra naturale è di origine animale
Rientrano tra le fibre naturali rinnovabili anche alcune di origine animale. Quali vi vengono in mente? Difficile non pensare a lei: la lana! Ottenuta dal vello della pecora che opportunamente trattato può venire avviato alla filatura. Qual è il Paese re del settore? L’Australia che fornisce il 40% di tutta la lana mondiale!
Dal punto di vista ambientale si sottolinea purtroppo come gran parte degli allevamenti sia intensivo. Oltre al problema del trattamento degli animali vi è quello del Mulesing, una pratica - attuata per evitare un'infezione dovuta alle mosche che depongono le uova nelle pieghe della pelle dell’ovino - che consiste nell'asportare chirurgicamente delle strisce di pelle dalla zona perianale della pecora. Oggi gran parte dei paesi vieta questa attività e crescono i “marchi contro il mulesing” (Preferred Fiber and Materials Market Report 2022).
Altra fibra importante di origine animale è la seta. Forse non tutti sanno infatti che questa viene ricavata dal bozzolo che la larva del baco del gelso (Bombix mori) realizza come protezione durante l’ultima metamorfosi[1], purtroppo però, per creare questo prezioso filato, le larve vengono bollite vive. Esistono però lavorazioni alternative - è il caso della seta ahimsa - che prevedono di aspettare che la falena esca e i filamenti strappati vengono successivamenti ritessuti.
Fibre artificiali da materie rinnovabili
Come il cotone o la lana, derivano da materia prima rinnovabile, ma a differenza dei filati cosiddetti naturali, le fibre artificiali divengono tessuto a seguito di una serie di processi chimici, quindi come le sintetiche sono il risultato di un processo industriale. Tra queste fibre, le più note probabilmente sono viscosa, modal e lyocell che hanno in comune il nascere dalle foreste ovvero dalla polpa di legno. La tecnica di lavorazione delle fibre artificiali in questi anni possiamo dire che è stata rivoluzionata:oggi infatti è possibile produrre viscosa in maniera sostenibile grazie a sistemi a circuito chiuso “in cui le sostanze chimiche tossiche vengono catturate e riutilizzate invece di essere rilasciate nell'ambiente” e - sottolineano dalla fondazione Changing Market - diversi importanti marchi e rivenditori di moda si sono già impegnati per una produzione responsabile della viscosa, aderendo alla Roadmap di Changing Markets http://changingmarkets.org/wp-content/uploads/2020/12/CM-WEB-DIRTY-FASHION-CRUNCH-TIME-DEC-2020-1.pdf. Ad approfondire come possano essere realizzate fibre artificiali secondo procedimenti virtuosi, in Italia, oggi è anche PEFC Italia che a riguardo ha lanciato la campagna Fashions change, Forests stay secondo i cui dati la produzione dei tessuti di origine forestale registra un consumo di energia di circa un terzo e ha un fabbisogno di 60 volte meno acqua rispetto alla produzione di tessuti di cotone.
Fibre non rinnovabili: sono tra le più comuni!
Poliestere, poliammide (nylon) acrilico: guardando le etichette dei capi che avete sulle stampelle e nei cassetti probabilmente riconoscerete alcune di queste fibre che rientrano tra le non rinnovabili. Sono fibre sintetiche e che da circa trent’anni sono tra le più utilizzate dall’industria della moda. Tali tecnofibre hanno come materie prime quelle fossili (come i polimeri da plastica). Sotto la lente d’ingrandimento vi sono poi altri aspetti ambientali come i consumi di energia e il loro basso tasso di biodegradabilità o la difficoltà - in alcuni casi - nel riciclo.
Per capire la portata del fenomeno ricordiamo i dati diffusi dal report “Plastics, the circular economy and Europe’s environment. A priority for action”[2] secondo cui i tessuti indossati sono costituiti per il 60% del totale da fibre sintetiche (FAO/ICAC, 2013) con una presenza predominante del poliestere.
La rapida ed estesa diffusione delle fibre sintetiche è dovuta ad una certa versatilità nell’impiego e alla loro economicità, caratteristiche che ne hanno favorito una produzione massiccia alla base del cosiddetto fenomeno del “fast fashion”. Tra i diversi usi, bisogna sottolineare come spesso le fibre sintetiche vengano mescolate a quelle naturali per ottenere tessuti più morbidi, meno sgualciti, conferire elasticità ed aumentare la resistenza.
Quali fibre oggi possono essere riciclate (e quando)
Per ridurre l’impatto ambientale del tessile, oltre alla scelta delle materie prime, alle modalità di lavorazione, al cercare di realizzare capi durevoli, un altro aspetto da sottolineare è quello della riciclabilità delle fibre che richiede da un lato tessuti che effettivamente siano atti a tale ciclo di recupero dall’altro la presenza di impianti sul territorio. Anticipando la scadenza europea l’Italia ha introdotto l’obbligo di raccolta differenziata dei rifiuti tessili dal 1 gennaio 2022.
Tra le difficoltà principali vi è quella relativa al fatto che a favorire il riciclo è la presenza di materiale monofibra (una maglia completamente di lana o di cotone) che sia di alta qualità. Oggi però, come abbiamo sottolineato, le diverse esigenze della moda - dalla produzione di capi low cost, alla ricerca della versatilità degli abiti - fanno sì che gli abiti siano realizzati principalmente con materiali misti.
In ogni caso ad oggi alcune filiere di recupero dei materiali esistono - sebbene marginali come quote di mercato globale - e è importante porle in evidenza. Ad esempio, vi sono capi in poliestere che utilizzano come materie prime seconde le bottigliette di plastica PET riciclate ma anche... plastica riciclabile recuperata dal mare. Esistono poi progetti di recupero e riciclo di fibre naturali, quando la composizione dei capi è monofibra. È il caso del cotone o della lana (basta pensare ai noti cenciaioli toscani!). In alcuni casi inoltre nuovi abiti nascono dal recupero e dal riuso dei residui di altre lavorazioni.
Letture consigliate
- “Sfida per un tessile circolare” 2022, CDCA, Economiacircolare.com AAVV
- “Vestiti che fanno male a chi li indossa a chi li produce”, 2011, Terre di Mezzo, Rita Dalla Rosa
- “I vestiti che ami vivono a Lungo”, 2021, Corbaccio, Orsola De Castro
- Vestiti che fanno male di Rita Dalla Rosa, Terre di Mezzo editore pag 22
Articolo a cura di Letizia Palmisano.