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Febbraio 5, 2023Mitigazione e adattamento saranno parole che leggeremo e sentiremo pronunciare sempre più spesso da qui a un bel po' di tempo.
Ci sono purtroppo dei dati con cui dobbiamo cominciare a fare i conti seriamente: dalle ondate di calore a quelle di freddo, dalle montagne senza neve e dalla fusione dei ghiacci alle intense nevicate che bloccano intere città: questo è cambiamento il climatico.
Proprio in questi giorni, in Antartide, un iceberg di 1550 km quadrati (grande circa come l’intera provincia di Milano) si è staccato dalla sua piattaforma di originaria. La crepa si era già originata nel 2019, ma questo non è il primo grande distacco avvenuto nell’area; infatti, nel 2017 si era staccato un altro iceberg, la cui fusione è avvenuta nel 2021, generando oltre 150 miliardi di tonnellate di acqua, un fatto non di poca rilevanza per il mondo scientifico.
Anche la Groenlandia non se la passa bene.
Un recente studio pubblicato sulla rivista Nature mostra non sia mai stata così calda come nell’ultimo millennio: è salita di 1 grado e mezzo nel decennio dal 2001 al 2011 rispetto alla media del ventesimo secolo. Il paese ha cominciato a riscaldarsi nel periodo della prima rivoluzione industriale, che ha cominciato a immettere senza freno CO2 in atmosfera, cui conseguenze arrivano adesso forti e chiare.
Il riscaldamento della Groenlandia provoca quindi la fusione dei suoi ghiacci, anche di quelli che non avevano mai provato lo stato liquido. Il problema sta proprio qui: non si tratta solo di innalzamento del livello dei mari causato da “nuovi ghiacci” che si fondono, ma del fatto che questi ghiacci che non si erano mai fusi prima, contengono al loro interno patogeni e forme di vita che non conosciamo e con cui non abbiamo mai avuto a che fare.
Inoltre, anche se difficile da quantificare, la Groenlandia potrebbe rilasciare abbastanza ghiaccio per innalzare il livello del mare di oltre 6 metri, mettendo a repentaglio molti ecosistemi.
In Italia
Il 2022 è stato per il nostro paese l'anno più caldo dal 1800.
In estate si è arrivati a temperature di quasi 4 gradi superiori alla media storica, con precipitazioni quasi dimezzate che hanno provocato la peggior siccità degli ultimi settant’anni.
Un anno insomma, in cui gli eventi metereologici estremi sono stati 310, il 27% in più rispetto al 2021.
L'istituto per le Scienze dell'atmosfera e del clima del Consiglio nazionale delle Ricerche ha ormai da tempo dimostrato che i cambiamenti climatici si manifesteranno sempre più con un andamento “a zig zag”.
Ciò significa che, invece di avere un clima che muta progressivamente, che tampona gli oscillamenti di temperatura e che regola le piogge, abbiamo un susseguirsi di eventi estremi: dalla siccità alle inondazioni, da forti nevicate ad assenza totale di queste ecc.
Le alluvioni che abbiamo visto nei mesi passati, che hanno avuto conseguenze drammatiche, sono il risultato della siccità di quest’estate, con eccesso di evaporazione che poi in qualche modo doveva ricadere.
Le forti nevicate degli ultimi giorni hanno un po' “tamponato” il periodo precedente, dove l’Italia ha subito una quasi totale assenza di nevicate.
Una recente ricerca pubblicata su Nature Climate Change, afferma che nell’ultimo secolo la durata del manto nevoso si è accorciata di oltre un mese. Uno studio scientifico condotto da un team di ricercatori dell’Università di Padova e dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Consiglio nazionale delle ricerche di Bologna ha analizzato gli anelli dei ginepri per trovare informazioni utili sulla neve e sulla sua durata negli anni: il risultato conferma che le scarse nevicate e le temperature più alte, sono causate dal riscaldamento globale.
A rischio turismo, agricoltura e biodiversità
La neve ha un ruolo chiave nel bilancio energetico terrestre, ma è anche fondamentale per i sistemi naturali, sociali ed economici, soprattutto nelle aree che si basano la propria economia sulla sua disponibilità.
Il manto nevoso è un vero e proprio serbatoio di acqua superficiale, poiché esso determina l’apporto idrico a valle. Quindi, se non c’è neve non ci sarà nemmeno acqua in primavera e in estate, provocando di conseguenza periodi di siccità.
Più in generale però e non solo in Italia, l’intera popolazione mondiale dovrà affrontare maggiori rischi a causa degli effetti combinati dal caldo estremo e dalla siccità: più caldo ci sarà, meno risorse idriche avremo a disposizione e la disponibilità di acqua dolce sarà limitata.
Tutto ciò per dire che in Italia c’è davvero poca acqua: fiumi e laghi sono ai minimi storici mentre pioggia e neve non riescono più a sanare il deficit idrico del nostro Paese.
L’Osservatorio sulle Risorse Idriche dell’Anbi (Associazione Nazionale dei Consorzi per la Gestione e la Tutela del Territorio e delle Acque Irrigue) prevede che con lo stato dell’arte attuale, il 2023 sarà un’annata “idricamente più difficile del già complesso 2022, soprattutto in regioni settentrionali”.
I dati più preoccupanti vengono dai laghi del Nord, cioè la nostra riserva idrica più considerevole: essi si trovano al momento sotto la media e la percentuale di riempimento è in quasi in tutti minore di quella registrata l’anno scorso nello stesso periodo.
La situazione dei fiumi non è migliore: nonostante le piogge degli ultimi mesi, il livello delle acque è ampiamente inferiore a quello del 2022.
La siccità colpisce tutti: esseri umani, animali e vegetali; e questi ultimi compongono la maggior parte della produzione agricola su cui facciamo sostentamento.
La neve è davvero fondamentale per i terreni agricoli, poiché costituisce una straordinaria riserva idrica, aiuta a contrastare i patogeni e protegge le colture dal gelo.
L’incontro tra mondo vegetale e animale crea la biodiversità, che sta subendo anch’essa gravi conseguenze.
La biodiversità sta soffrendo e non poco: ogni variazione, grande o piccola che sia, ha delle conseguenze su ogni ecosistema, soprattutto su quelli che sono già fragili di natura.
Per esempio infatti, molte specie animali e vegetali si stanno spostando verso l’alto a causa delle temperature in aumento in alta quota, con conseguente afflusso di specie provenienti da altitudini inferiori.
Un vero e proprio cambiamento nella composizione degli ecosistemi: sono stati registrati spostamenti in alta quota di oltre 2.000 specie di piante, animali e funghi che vivono sulle Alpi, i quali hanno anche anticipato i loro cicli vitali.
Non tutto è perduto
Il punto di non ritorno potrebbe però essere ancora lontano.
Lo afferma un nuovo studio realizzato dagli scienziati dell’Università di Cambridge, di quella di Edimburgo e di quella di Washington.
Secondo la ricerca, riducendo notevolmente le emissioni di gas serra si potrebbe ancora fermare il processo.
Agire ora per salvare la principale riserva di ghiaccio del pianeta sembra essere possibile.
Questo perché lo studio, indagando le dinamiche climatiche che influenzano la velocità con cui si ritirano i ghiacciai dell'Antartide occidentale, ha rivelato che verosimilmente lo scioglimento dei ghiacciai nelle aree più vulnerabili non ha seguito un andamento omogeneo: in alcune aree infatti la fusione dei ghiacci è stata molto più lenta rispetto ad altre.
I ricercatori hanno evidenziato che le differenze sarebbero collegate ai cambiamenti di intensità e di direzione dei venti, che avrebbero provocato un maggiore o minore flusso in entrata di acqua "calda" proveniente dal fondo dell'oceano, e quindi una differente percentuale di fusione della calotta glaciale.
"I meccanismi oceanici e atmosferici che agiscono sull'Antartide occidentale sono ancora estremamente importanti - spiega Eric Steign, dell'Università di Washington - questo significa che il collasso della calotta glaciale non è inevitabile. Dipenderà da come cambierà il clima nei prossimi decenni, una variabile che possiamo ancora influenzare positivamente riducendo le nostre emissioni di gas serra".
La speranza di tutti è che il 2023 sia l’anno in cui cominciamo a essere davvero parte della soluzione, e che tramite mitigazione e adattamento si riesca davvero a fare dei passi avanti per prenderci cura del nostro pianeta, che è l’unico che abbiamo.